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La riforma del diritto fallimentare ed i suoi presupposti

La legge fallimentare italiana poco meno di due anni fa è stata profondamente riformata dalla nuova legge sul “Codice della crisi d’impresa e d’insolvenza”, DL. 14/2019 del 12 gennaio 2019. Detta riforma sarebbe dovuta entrare pienamente in vigore a partire dal 1° settembre 2020; invece, a causa delle note vicende legate alla pandemia di COVID19 e a due ulteriori rinvii, questa data è stata posticipata al 1° settembre 2021.
Punto fondamentale della riforma è il cambio di paradigma tra la situazione precedente e quella riformata: prima la legge fallimentare si preoccupava di tutelare soprattutto i creditori ed era stata pensata in un’ottica liquidatoria.
Oggi questa riforma sposta l’attenzione sulla continuità aziendale. L’evoluzione dell’economia, diventata globale dalla fine del secolo scorso, ha prodotto una serie di crisi economiche di assestamento ed ha affrontato anche una serie di rapide evoluzioni tecnologiche, che hanno avuto come conseguenza il fallimento e la chiusura di tante aziende, specie di quelle che non sono riuscite ad adattarsi o che sono diventate obsolete. Si pensi ad esempio ad alcuni grossi player industriali o di servizi, come Kodak per le pellicole fotografiche, soppiantate dal digitale. Oppure a società come Blockbuster per il noleggio di videocassette e poi DVD, in crisi a causa dell’avvento di piattaforme di fruizione di contenuti multimediali digitali come Netflix.
Le diverse crisi economiche hanno comportato anche un grande aumento della disoccupazione, con relativa richiesta di indennità di sussidio verso lo stato. E altresì le tante aziende chiuse o in perdita hanno comportato per lo stato molti meno soldi incassati dal fisco: per stati come l’Italia questo significa un enorme aumento del deficit e delle tasse.
Ecco quindi che la continuità aziendale e la conseguente tutela dell’occupazione tornano al centro degli interessi del legislatore, portandosi allo stesso piano o addirittura superando quelli stessi della tutela dei creditori; anzi quale miglior tutela per i creditori di una azienda può esserci del fare in modo che quella stessa si doti di strumenti con cui non solo possa evitare il fallimento, ma continui a lavorare e a garantire occupazione per sè e la propria filiera e l’incasso della relativa fiscalità per lo stato?

La nuova legge pone particolare rilievo (art.2) sulla nuova definizione di crisi e sulla nuova definizione di insolvenza.

Crisi: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Insolvenza: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimento o altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

In cosa si differenziano le due definizioni? Per semplificare, possiamo dire che il legislatore ha inteso distinguere la crisi, che è uno scenario futuro probabile, ma non certo, dalla insolvenza, dove l’inadeguatezza dei flussi di cassa porterà sicuramente all’impossiblità di adempiere ai propri debiti. Quindi se ci sono i segnali di crisi si potrà ancora intervenire per cercare di rimediare alla situazione, mentre se si arriverà all’insolvenza no.

Nel mio prossimo articolo vedremo più in dettaglio quali adempimenti dovrà mettere in atto l’impresa per ottemperare a quanto richiesto dalla legge.
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